13/02/2020 - 14/02/2020 Teatro Ragazzi

giovedì 13 e venerdì 14 febbraio ore 9 e ore 11 | teatro ragazzi
Teatro Gioco Vita
RANOCCHIO
dall’opera di Max Velthuijs
adattamento teatrale Nicola Lusuardi e Fabrizio Montecchi
regia Fabrizio Montecchi
con Deniz Azhar Azari, Tiziano Ferrari
scene Nicoletta Garioni
sagome Federica Ferrari (dai disegni di Max Velthuijs)
musiche Michele Fedrigotti
costumi Sara Bartesaghi Gallo
realizzazione scene Sergio Bernasani, Davide Giacobbi
musiche registrate eseguite da Lello Narcisi flauto, Satoko Tsujimoto clarinetto, Mauro Loguercio violino, Daniele Beltrami violoncello, Michele Fedrigotti e Francesca Rivabene pianoforte, Michele Fedrigotti tastiere e voce, Paolo Filippi sound engineer
lo spettacolo è tratto dai libri di Max Velthuijs Frog is sad, Frog in Love, Frog and the Birdsong, Frog is Frog, Frog is Frightened editi da Andersen Press, London
dai 2 ai 5 anni
durata 45’

Le figure e le parole tratte dai libri illustrati di Max Velthuijs, uno dei più celebrati autori per l’infanzia al mondo, vivono sullo schermo del teatro d’ombre, trasformate, con leggerezza e poesia, in delicate storie animate.


Candido e ingenuo, Ranocchio guarda il mondo con gli occhi sempre aperti, anzi, spalancati. Tutto intorno a sé lo sorprende, lo riempie di stupore, lo incuriosisce. Ranocchio ha tanti amici: Anatra, una dolce e amorevole compagna di giochi; Porcellino, un placido amante della casa e della buona cucina; Lepre, un intellettuale che ha sempre una risposta a tutto e Topo, un avventuriero tanto intraprendente quanto generoso. Insieme affrontano le grandi domande che i piccoli drammi di ogni giorno pongono loro. A tutti questi dilemmi esistenziali, Ranocchio e i suoi amici riescono sempre a trovare una risposta positiva. Un merlo trovato senza vita nel prato è l’occasione per interrogarsi sul mistero della morte e la necessità di celebrare la gioia di essere vivi. Il mal d’amore provato da Ranocchio è lo spunto per riflettere sul dolore e sulla felicità che da esso scaturisce. Uno spavento notturno rende inevitabile un’indagine sul tema della paura vera e della “paura di aver paura”. Con parole e immagini di grande forza ed essenzialità, le vicende di Ranocchio e dei suoi amici, grazie ad uno humour gentile, ci confortano e ci trasmettono una grande voglia di vivere. Lo fanno parlando di sé, ma, nel fare questo, ci parlano anche di noi. Di noi che siamo grandi e ancora non sappiamo sempre accettarci ma, anche e soprattutto, di chi grande lo deve diventare e si misura ogni giorno con i problemi che il proprio crescere nel mondo comporta. Queste piccole storie dal cuore grande sono tratte dai libri illustrati di Max Velthuijs, uno dei più celebrati autori e illustratori per l’infanzia al mondo. Le sue figure e le sue parole sono state staccate dal loro contesto originario, per farle vivere sullo schermo del teatro d’ombre, trasformate, con leggerezza e poesia, in delicate storie animate.

Max Velthuijs. Gli animali illustrati nei miei libri – ha detto Velthuijs – sono una sorta di me bambino, hanno la loro propria personalità, ma al loro interno vi è sempre una parte di me stesso. Velthuijs Max è nato a L’Aia nel 1923. Già da bambino ama disegnare e costruirsi le proprie storie, mentre a scuola non si dimostra un allievo particolarmente brillante. Durante la seconda guerra mondiale si trasferisce con la famiglia ad Arnhem, dove studia pittura e grafica presso l’Accademia di Arti Visive. Una volta finita la guerra si trasferisce nuovamente a L’Aia dove riceve commissioni per manifesti, francobolli, libri, giacche, film d’animazione, pubblicità e spot televisivi. In questo periodo Velthuijs scopre ciò che vuole veramente fare professionalmente: illustrare e disegnare libri! Da allora è diventato uno dei più famosi illustratori per l’infanzia al mondo e ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Per celebrare i suoi 80 anni, nel 2003, è stata organizzata una grande retrospettiva del suo lavoro e, l’anno successivo, ha ricevuto il Premio Hans Christian Andersen 2004 per illustratori, che è stato il culmine della sua carriera artistica. Dopo una breve malattia, è scomparso il 25 gennaio 2005. In Italia i suoi libri che hanno come protagonista Ranocchio sono editi da Mondadori.

Teatro Gioco Vita direzione artistica Diego Maj
Teatro Gioco Vita nasce nel 1971, tra le prime realtà in Italia a esser protagonista del movimento dell’animazione teatrale, grazie alla quale ha saputo dare un contributo originale alla nascita del teatro ragazzi, con il suo modo peculiare di fare, di intendere e di vivere il teatro, i rapporti, la ricerca e la cultura che lo ha caratterizzato fin dalle prime esperienze. Teatro Gioco Vita incontra il teatro d’ombre alla fine degli anni Settanta. Dal suo operare con coerenza e coscienza professionale e anche grazie al contributo di collaboratori esterni, ha maturato un’esperienza unica nel suo genere che gli è valsa riconoscimenti e prestigiose collaborazioni in ogni parte del mondo, con teatri stabili ed enti lirici come: Teatro La Fenice di Venezia, Royal Opera House Covent Garden di Londra, Teatro alla Scala di Milano, Arena di Verona, Ater, Ert, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Regio di Torino e Piccolo Teatro di Milano. Riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Emilia Romagna come Centro di produzione teatrale, sotto la direzione artistica di Diego Maj, si compone di diverse realtà. La Compagnia, con Fabrizio Montecchi e Nicoletta Garioni in qualità di responsabili artistici, è impegnata oltre che nella produzione di spettacoli d’ombre, anche in attività laboratoriali con le scuole e i giovani. L’Officina delle Ombre è luogo delle produzioni e della ricerca di Teatro Gioco Vita. I teatri a Piacenza (Teatro Filodrammatici, Teatro Municipale e Teatro Gioia) sono una grande casa dove si sperimentano e si organizzano rassegne teatrali, ospitalità, scambi culturali, luoghi dove realizzare percorsi artistici e culturali per la ricerca della Compagnia e il lavoro sul territorio. I progetti creativi, che vanno oltre il linguaggio delle ombre, si inseriscono nell’idea di aprire nuovi orizzonti produttivi nella scena per i ragazzi e i giovani, come pure nella ricerca e nella danza. Teatro Gioco Vita affianca l’attività sul territorio di Piacenza e provincia (direzione artistica e organizzativa della Stagione di Prosa del Teatro Municipale di Piacenza, organizzazione di rassegne teatrali e altri eventi culturali, ospitalità, laboratori, formazione) a una dimensione sempre più internazionale, che ha portato i suoi spettacoli di teatro d’ombre a essere rappresentati, oltre che in Europa, negli Stati Uniti, in Brasile, Messico, Canada, Giappone, Cina, Israele, Taiwan e Turchia.

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Avete mai visto voi un bambino mentre assiste, rapito, a uno spettacolo teatrale? Ha un modo di tenere il busto in avanti, tutto proteso verso la scena. Gli occhi sono sbarrati, fissi. L’espressione è spesso seria, concentrata, anche quando ride. Perché tutto va preso sul serio, anche la finzione. E lui lo sa che solo se si finge sul serio, fingere ha senso. La bocca poi, la bocca è tutto. È aperta, quando non è addirittura spalancata. Sulla bocca, la meraviglia, negli occhi, la rivelazione, in quello sguardo, lo stupore. Ecco, lo stupore impresso nello sguardo di un bambino è lo stesso che accompagna sempre Ranocchio (anche lui bambino) nella scoperta delle cose del mondo. Uno stupore che è sorpresa, curiosità e incredulità ma è anche voglia di scoprire, di capire, e di lasciarsi coinvolgere dall’infinita ricchezza della vita. E non c’è avventura più bella che vivere. Perché la vita è, come dice proprio Ranocchio: “una cosa meravigliosa”. E lo è anche quando vivere vuol dire affrontare una tristezza che ci prende senza ragione o quando ci dobbiamo confrontare con una paura della quale non conosciamo il motivo. Anche quando vivere ci impone di superare la scoperta dolorosa della morte o ci porta ad apprezzare la gioia che l’incontro con l’altro ci trasmette. Per godere della vita insomma bisogna viverla, bisogna farne ‘esperienza’. Come il teatro. Per questo abbiamo cercato di far sì che questo piccolo momento di teatro, Ranocchio appunto, potesse essere, per il nostro piccolo pubblico, ‘un’esperienza’ vera, sentita e condivisa. E per realizzare questo abbiamo pensato ad un unico spazio contenente scena e pubblico, un microcosmo intimo e suggestivo, dove meglio e con più intensità si potesse realizzare, da parte dei bambini, l’incontro con Ranocchio e il gruppo di animali suoi amici. Sono loro, i personaggi della nostra storia, che vivono nel nostro mondo o siamo noi che viviamo nel loro? Il confine è labile e, scena dopo scena, la percezione cambia. Ma sicuramente i bambini, posti dentro la scena, vivono lo stesso spazio e lo stesso tempo dell’azione, e si sentono maggiormente coinvolti nelle esperienze che lì vi si consumano. Nulla è pertanto celato in questo microcosmo teatrale: ombre, figure e attori abitano lo spazio della scena con la naturalezza di chi è di casa, di chi vive nel presente. Gli schermi non separano, anzi, uniscono. Tutto l’artificio scenico è svelato: sagome e animazioni a vista, proiezioni frontali, ombre che si fanno oggetto e oggetti che si fanno ombre. Tutto serve a darci il senso di un’unica realtà, un mondo a cui tutti apparteniamo e in cui tutti possiamo riconoscerci. Un mondo di incontri importanti e di eventi intensi, di momenti tristi e grandi paure ma dove tutto, nell’insieme, ci restituisce un piacere di vivere contagioso e confortante. Perché le storie di Ranocchio donano davvero profondo conforto. Ma non nel senso di comfort, comodità, ma nel senso originario di ‘cum fortis’: rendono forti e vigorosi, consolano e sollevano dal dolore, colmano di speranza.

Tra coloro che scrivono per i bambini ho imparato a riconoscere almeno due categorie di autori. Da una parte ci sono coloro che condividono il sentimento infantile delle cose e gli danno forza e figura nei loro racconti. Sono gli scrittori di prodigi e avventure. Di incubi e di magie. Di scherzi e di situazioni grottesche. Dall’altra parte ci sono quelli che, quando scrivono, sembrano conoscere la rara condizione ‘dell’adultità’, che consiste soprattutto di un sentimento acuto e preciso della realtà delle cose. A questa seconda categoria appartiene Max Velthujs. Le storie di Ranocchio parlano degli istanti germinali di ogni esperienza prima. Ossia di ogni interrogativo ultimo. Parlano cioè dell’identità. Dell’amore. Dell’amicizia. Della morte. Si dirà che tutte le favole lo fanno. Che i grandi autori per l’infanzia sono grandi proprio per la loro capacità di narrare, ai bambini, le cose che l’umanità si affanna da sempre a cercare di controllare emotivamente e intellettualmente. Ossia tutte le cose di cui i bambini insistentemente chiedono, col candore di chi pretende l’esistenza di una vera risposta. La differenza di Velthujs però è che la sua arte narrativa non comunica attraverso la forza di peripezie avventurose e popolate di figure simboliche, ossia non parla ai bambini tenendo in allerta il loro inconscio, attraverso l’impressione dei sensi e la spettacolarità delle emozioni. E non lo fa nemmeno raccontando parabole delicatamente allusive e impercettibilmente consolatorie. Dunque implicitamente religiose. La narrativa di Velthujs comunica ed emoziona in una dimensione perfettamente infantile e insieme perfettamente intellettuale, quasi teoretica, ossia concentrandosi sempre con quieta e oggettiva precisione sul tema del racconto. Il merlo è morto. Si muore. In questo consiste la sua forza: nel dire che si muore e nel concepire un racconto per rappresentare che di questo fatto sappiamo pochissimo ma, nondimeno, è accettabile nella sua semplice oggettività. Velthuijs dichiara con chiarezza e pudore la cosa in sé, poi di questa cosa racconta tutto quello che si può legittimamente raccontare. Con precisione e senso della misura. Senza nascondere la nostra insufficienza, né l’insufficienza del nostro sapere. Ammettendo implicitamente con i suoi piccoli lettori che – al di là dei lupi e delle streghe – su quegli interrogativi ultimi, possiamo dire poco. Ma indicando, attraverso lo sguardo infantile, dunque nascente, di Ranocchio che quel poco può bastare a vivere sensatamente. E forse bene. Per questo amiamo Velthujs e abbiamo ritenuto importante portare in scena le sue storie, in particolare quelle che narrano delle cose più importanti della vita. Ossia di quelle su cui non smettiamo mai di interrogare e interrogarci, anche nella consapevolezza che forse non esiste risposta. E di queste storie abbiamo cercato di rispettare la precisione ‘filosofica’ e di interpretare drammaturgicamente la vocazione poetica a strutturarsi in un romanzo di formazione intellettuale e sentimentale, dedicato ai più piccini.