venerdì 9 e sabato 10 novembre ore 21
domenica 11 novembre ore 17.30
di Furio Bordon
regia Daniele Salvo
con Andrea Giordana, Galatea Ranzi, Luchino Giordana
Palcoscenico Italiano in collaborazione con il Centro Teatrale Meridionale
Un uomo nella sua stanza attende. Osserva. Ricorda. Sogna. E’ un uomo solo, stanco, privato del suo futuro. Un vecchio. Sogni, fantasie, ricordi, suggestioni, fantasmi del passato affollano la sua povera stanza dell’immaginario.
La sua compagna, morta molti anni prima, è sempre al suo fianco e conversa assiduamente con lui, ogni giorno. In questa stanza vita e morte si toccano, presente e passato si sovrappongono: all’interno di queste mura, il tempo è relativo. E’ un vecchio professore che aspetta nella propria stanza il figlio che lo accompagnerà in una casa di riposo per anziani. Quest’uomo vive e respira quella stanza, dove trascorre tutta la sua giornata, come se la volesse portare con sé: i suoi unici compagni di viaggio sono la musica, i fumetti che ha sempre amato e un album di fotografie. Con lui una compagna silenziosa e scomoda: la vecchiaia. E quest’uomo affoga sempre più nella malinconia, si confronta ogni giorno con la nostalgia, con la sua condizione di impotenza e disillusione. Il presente è insoddisfacente, la vita è al tramonto, i progetti sono conclusi: il massacro della vecchiaia. La decisione di entrare in una casa di riposo e di andarsene per sempre dalla stanza di una vita, nasce dal sentirsi “di troppo” e la scelta è lucida, definitiva, irrimediabile. Una volta lasciata la propria casa, la propria stanza, nella soffitta di un’anonima casa di riposo, il protagonista trascorre qualche ora del suo tempo in compagnia del suo album di
fotografie, della sua musica e di una piantina di basilico: è in quella soffitta, uno strano modo per avvicinarsi sempre più al cielo, che egli aspetta la fine dei suoi giorni.
Nella nostra società la vecchiaia è un imprevisto. Qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa da cancellare. Tutti inseguono la giovinezza, tutti combattono i segni del tempo, tutti vogliono allontanare la morte. In questo mondo ormai senza regole, improntato all’egoismo più sfrenato, al culto dell’io, all’auto rappresentazione, alla celebrazione del sé, alla giovinezza, all’efficienza ad ogni costo, alla ricchezza, alla velocità, al qui ed ora, al tutto e subito, essere vecchi significa essere esclusi. Ormai altri giovani cantano altre canzoni e il vecchio è troppo lento, troppo stanco, troppo solo: inutile. Ma la vecchiaia, al contrario, è un privilegio. Una pietra preziosa. È un momento della vita di un uomo in cui tutte le linee convergono verso un punto sospeso sul filo dell’orizzonte. È la somma di tutti gli addendi, il termine di un progetto, L’inizio di un nuovo cammino. Coincide con la condizione del poeta. Essere poeti oggi dà scandalo. Il poeta non serve a nulla. Il poeta dà fastidio. È troppo ingenuo, troppo fragile, troppo vero. E soprattutto il Poeta, come il vecchio, sa dire la verità. Il poeta attende paziente, siede su una panchina sul ciglio del torrente del tempo e guarda. Una foglia cadere, una gemma sbocciare, un bambino che sorride. Il poeta, come il vecchio, possiede la mappa del labirinto, crea un modello infantile dell’universo , “di un universo fondato sin dalla tenera età nel nostro cuore, una specie di libro di testo per capire il mondo dal di dentro, dal suo lato migliore e più fulgido”.
Il Poeta canta con la sua voce sempre più flebile ride tra i denti, ma mi accorgo che piange. E’ solo un uomo, o forse un vecchio. Ma il suo pianto conduce al futuro. (Daniele Salvo)
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