02/11/2024 Teatro

sabato 2 novembre ore 19 • teatro
Museo Sociale Danisinni presenta
LA PASSIONE DI STRACCI
liberamente ispirato a “La ricotta” di Pier Paolo Pasolini
testo e regia Gigi Borruso
con Gigi Borruso, Valeria D’Aquila, Alessandra Guagliardito
scene e costumi Valentina Console
musiche Giacco Pojero, Nino Vetri, Louis Sclavis, Ryuki Sakamoto
assistente alla regia Felicetta Giordano
foto di scena Rossella Puccio

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Una pièce che esplora le marginalità umane e sociali attraverso il fantasma di Stracci, personaggio de “La ricotta” di Pasolini. Ambientata a Palermo, intreccia i racconti comici e dolorosi di Stracci, della moglie Lena e della figlia Vita. Una riflessione sullo smarrimento dell’arte dinanzi al reale.


La Passione di Stracci è un nuovo testo di Gigi Borruso, che il Museo Sociale Danisinni porta in scena per la stagione 24/25. Lo spettacolo ha già debuttato a Palermo nel novembre 2023 con una calorosa accoglienza del pubblico e della critica. La pièce si ispira liberamente al film “La ricotta”, che l’autore adopera quale antefatto dell’azione. Potremmo immaginarla, con linguaggio cinematografico, come un sequel o una sorta di spin-off sulla vita, anzi sulla morte, di uno dei protagonisti dell’opera di Pasolini, Stracci: il povero disgraziato pescato dagli ambienti del sottoproletariato romano, arruolato da una troupe cinematografica per il ruolo del “ladrone buono” in un film sulla Passione di Cristo. Durante le riprese, Stracci muore sulla croce, nell’indifferenza generale, per l’indigestione causata dall’ingordigia di chi ha avuto fame tutta la vita. È qui che la drammaturgia di Gigi Borruso attecchisce, due giorni dopo l’ultima scena del film: Stracci è ancora sulla croce e non sa di essere morto. La trama si sviluppa quindi in maniera autonoma, ambientata ai nostri giorni, in un contesto popolare palermitano, con il mare della costa sud est e le sue povere borgate proiettati sullo sfondo della scena. In un’atmosfera surreale, il fantasma di Stracci – interpretato dallo stesso Borruso – sta appollaiato fra i resti di quel set. Lena, la moglie e Vita, la figlia, lo raggiungono e si siedono ai suoi piedi in silenzio. Stracci racconta loro del set, sforzandosi di descrivere quel mondo dell’arte per lui oscuro e bizzarro. Un racconto pieno di equivoci, di inconsapevole comicità – il suo – a volte ispirato, a volte rabbioso e volgare. Racconterà della sua faticosa esistenza, della sua furia, dei suoi sogni e, infine, della sua morte. In scena è la tensione drammatica della vita di quegli ultimi su cui tanto ha indagato Pasolini, sottolineandone la radicale alterità, la sostanziale estraneità al pensiero borghese, l’ostilità insanabile anche nei confronti di chi vorrebbe rappresentarli, interpretarli, “salvarli” com’è proprio della politica o delle religioni.

Borruso narra attraverso questo terzetto di personaggi pescati dalla periferia di una città dimenticata, lo smarrimento dell’arte stessa dinanzi al reale, la sua fatica a intercettare chi è soffocato dal bisogno. Stracci è un uomo svezzato dalle privazioni della vita, un ladruncolo, un fuorilegge e, insieme, un pagliaccio, sospeso fra candore e furbizia, fra un caotico desiderio di vita, di rivalsa e la malinconica incapacità di comprendere il mondo. Lena (interpretata da Valeria D’Aquila), persa in un dolore animale, si ravviva solo masticando quel panino tirato fuori dal “cestino” che Stracci le ha conservato e si abbandona inaspettatamente a sognare la magia del mondo dei film, mentre la figlia Vita (Alessandra Guagliardito), giovane ragazza fragile ed enigmatica, resta chiusa in un silenzio ostinato. Ma dove sono finiti tutti, dove s’è spostato il set? chiede disperatamente Stracci. Quando finalmente Lena gli rivelerà che egli è morto, eccolo rivivere le immagini della sua agonia. Ma cosa sono venute a fare sotto la croce Lena e Vita? Davvero giungerà la televisione per intervistarle? E Vita parlerà finalmente? Che si tratti di allucinazione o realtà, le due donne confesseranno ai presunti giornalisti giunti sul luogo della disgrazia i loro desideri, della loro vita di stenti e di abusi. E Stracci, cosa dirà a quelli che lo vogliono Santo, a quelli che lo chiamano eroe? Cosa dirà all’Angelo che finalmente gli indicherà la via verso il Regno dei Cieli? Non senza rilievo è la scelta dell’autore rispetto alla lingua dei suoi personaggi: un italiano corrotto dal siciliano, in cui la sintassi, certe concordanze inesatte e la presenza di vocaboli deformati e inventati tentano di restituire da un lato il sapore della lingua parlata, dall’altro di provocare un interessante cortocircuito. E cioè un certo “sforzo” dei personaggi alle prese con una lingua non propria. “Proprio questo spasmo mi interessava – dichiara l’autore – che tradisce il desiderio dei miei personaggi d’essere riconosciuti, compresi da un mondo a loro estraneo”. La Passione di Stracci chiude la quadrilogia di Gigi Borruso sulle marginalità umane e sociali, iniziata con “Luigi che sempre ti penza” (menzione speciale ai premi Tuttoteatro 2006, Museo Fratelli Cervi 2013 e finalista premio Betti nel 2008), “Un errore umano” (Premio Fersen per la drammaturgia, 2015) e “Fuori campo” (Premio Tuttoteatro Dante Cappelletti, 2009). Ed è anche il frutto dell’esperienza che l’autore ha compiuto in questi anni con il Museo Sociale Danisinni e con il Teatro Stabile di Palermo in progetti di teatro sociale, fondando e dirigendo il Laboratorio “DanisinniLab”, indirizzato alla ricerca d’un possibile dialogo con l’ambiente proletario e sottoproletario della città di Palermo.

Stracci, non ha un nome. La sua “Passione” non redime nessuno. Potrei dirvi che la “Passione di Stracci” è il mio più lucido spettacolo sul fallimento. Sul fallimento delle nostre idee di giustizia: il mondo sotto i nostri occhi è sempre più un campo profughi di persone senza voce. Ma è solo uno spettacolo, un piccolo paradosso, uno spasmo un po’ rabbioso e buffo. E, in ogni caso, nessuno può parlare nel nome di Stracci, nessuno. Possiamo rubargli una smorfia da vendere a uno dei tanti show della sofferenza. Intervistare la sua famiglia, farne il nostro pagliaccio, il disgraziato del quale ridiamo sino alla morte, la sua. Se morire per Stracci è il solo modo per ricordarci della sua vita, se morire è l’unico modo per indicarci una possibile rivolta all’indifferenza e al cinismo, allora dovremmo ricominciare tutto daccapo. Ci servirebbe tutta la nostra fragilità, cioè tutta la nostra umanità. Tutta la rabbia di Stracci. O almeno un buco fra le maglie di questa rete… non so se da lì s’intravede il regno dei cieli. Comunque, a Stracci tutto ciò è indifferente. Perché “anche la nostra pietà gli è nemica”. Potrei dirvi, infine, che questo è il mio più radicale spettacolo sulla Passione. Comunque la vogliate intendere.

Si forma alla scuola di Michele Perriera nel 1981. Fra gli anni ’80 e ’90, con il Teatés, sarà uno dei principali interpreti dello storico gruppo palermitano. Altra importante tappa formativa, fra il 1995 e il ’99, sarà la collaborazione con Roberto Guicciardini al Teatro Biondo Stabile di Palermo, come protagonista in alcuni dei più noti spettacoli del maestro toscano e come regista. Alla fine degli anni ‘90 avvia un proprio percorso di ricerca: fonda la Compagnia dell’elica e, con Transit Teatro, dal 2010 al 2015, lavora fra Parigi e Palermo. Si è dedicato alla didattica teatrale e attualmente è tutor e insegnante di recitazione presso la Scuola del Teatro Stabile di Palermo. Dirige, inoltre, DanisinniLab, laboratorio teatrale di comunità, nello storico quartiere popolare palermitano di Danisinni. Ha lavorato lungamente con la RAI come doppiatore e programmista-regista. Negli ultimi quindici anni si è dedicato alla messa in scena dei propri testi. Il suo teatro prende spesso spunto da temi d’attualità sociale per raccontarne (con ironia, essenzialità e stupore) paradossi e cortocircuiti. Con lo spettacolo “Luigi che sempre ti penza”, dedicato al mondo dell’emigrazione siciliana degli anni ’60, è segnalato al Premio Dante Cappelletti nel 2006, finalista nel 2008 al Premio Ugo Betti per la drammaturgia e menzione speciale al Premio Museo Fratelli Cervi nel 2013. Nel 2009, con la pièce “Fuori campo”, vince il Premio Tuttoteatro.com alle Arti Sceniche. Nel 2015, con il testo “Un errore umano”, vince il Premio Fersen alla drammaturgia. Il testo “Luigi che sempre ti penza” è stato pubblicato da Navarra Editore nel 2011 ed è stato tradotto e pubblicato in Francia per le edizioni Alidades nel 2023. Nel 2017, con i tipi della Vittorietti, pubblica “Il suono della notte”, suo primo romanzo. Vive e lavora a Palermo.

Costituito nel maggio 2018 da Valentina Console, Enzo Patti, Angela La Ciura, Rossella Puccio, Nicolò D’Alessandro, Fra Mauro Billetta, Calogero Barba, il Museo Sociale Danisinni, nasce dall’esperienza di ‘Rambla Papireto’, come naturale evoluzione del progetto curato dall’Accademia di Belle Arti di Palermo e voluto dal Comune di Palermo, che ha avviato a Danisinni il processo di rigenerazione sociale e culturale di cui oggi il quartiere è protagonista. Il Museo Sociale, lavora per la promozione e lo scambio dell’arte contemporanea nel territorio di Danisinni e in città, con l’obiettivo di innescare attraverso l’arte processi di rigenerazione sociale e culturale. Attualmente ospita la più grande collezione di arte “asemica” del meridione d’Italia. Nel novembre del 2018 l’Associazione fonda il Laboratorio di Teatro Sociale DanisinniLab, diretto da Gigi Borruso, che in questi 6 anni ha formato più di trenta attrici e attori e realizzato numerosi progetti di teatro sociale e video, dentro e fuori Danisinni, coinvolgendo la gente del quartiere e collaborando con varie istituzioni, fra cui il Teatro Biondo Stabile di Palermo, ed esportando la propria esperienza anche in altri contesti sociali.

 

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