venerdì 24 e sabato 25 novembre ore 21
domenica 26 novembre ore 17:30
di Fëdor Dostoevskij
adattamento e regia Nicola Zavagli
con Beatrice Visibelli
Teatro d’ Imbarco
Un intenso monologo sulla violenza domestica che Nicola Zavagli ha tratto dal racconto di Fëdor Dostoevskij per l’interpretazione appassionata di Beatrice Visibelli. Dando voce al carnefice, la sensibilità dell’attrice si immergerà nei labirinti oscuri della sua mente, con un inedito e sconcertante rovesciamento di prospettive e di ruoli.
Beatrice Visibelli affronta il rapporto uomo/donna nel suo schema maledetto di vittima e carnefice. E lo fa
in un originale ribaltamento di ruoli, non nella parte della donna/vittima, ma provando a immergersi nei
labirinti della mente dell’uomo/carnefice. E per allontanarsi dalla cronaca (che inesorabile continua a
denunciare lo stillicidio delle vittime) sceglie un monologo scritto dal più profondo indagatore dell’animo
umano: Dostoevskij. Un monologo polifonico dove i pensieri diventano un flusso di parole che tentano
ostinatamente di capire il perché di un rapporto dominato dal silenzio, usato come arma di potere e di
tortura psicologica. E dove infine in un crescendo incalzante emerge il carattere tutt’altro che “mite” della
giovane donna. “A volte sentivo per lei una tormentosa pietà, sebbene talora mi sorridesse proprio l’idea
della sua umiliazione.” Un capolavoro urgente per capire dal profondo il nostro tempo. Ispirato a un caso di cronaca, questo lungo racconto è stato pubblicato dall’autore nel 1876, nel numero di novembre del suo Diario di uno scrittore a cadenza mensile. In Italia è arrivato per la prima volta nel 1919.
“Immaginate un uomo la cui moglie, suicidatasi alcune ore prima gettandosi dalla finestra, sia stesa davanti a lui su un tavolo. L’uomo è sgomento e ancora non gli è riuscito di raccogliere i propri pensieri… Ecco, parla da solo, si racconta la vicenda, la chiarisce da se stesso”. Così scrive Dostoevskij nel presentare l’opera ai lettori. L’uomo, quarantuno anni, ex capitano cacciato dal reggimento con l’accusa di viltà e ora titolare di un banco dei pegni, non è un inveterato criminale, ma come l’Uomo del sottosuolo è divorato dalla rabbia e dal rancore. Ha sposato una sedicenne di umili condizioni e la sua avidità senza scrupoli lo ha portato a considerare la moglie solo una sua proprietà. Il racconto restituisce con sconcertante realismo il suo soliloquio interiore che alla fine, tra contraddizioni, accuse rabbiose e false giustificazioni, lo avvicinerà, poco a poco, alla verità.
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