sabato 14 maggio ore 21
Teatro Gioco Vita – IT
MOUN
portata dalla schiuma e dalle onde
da Moun di Rascal
con Deniz Azhar Azari
regia e scene Fabrizio Montecchi
sagome Nicoletta Garioni (dalle illustrazioni di Sophie)
coreografie Valerio Longo
musiche Paolo Codognola
costumi Tania Fedeli
disegno luci Anna Adorno
luci e fonica Rossella Corna
realizzazione sagome Federica Ferrari, Nicoletta Garioni, Agnese Meroni, Francesca Donati (assistente)
realizzazione scene Sergio Bernasani
assistente alla regia Helixe Charier
spettacolo prodotto in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione
Moun di Rascal è edito da l’Ecole des loisirs
▶ dai 5 ai 10 anni 🕖 durata 50’
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📣 Una storia che, pur trattando temi forti come l’abbandono, l’adozione, la nostalgia e la costruzione di sé, trasmette un senso di grande serenità e leggerezza poetica. Un linguaggio teatrale che fonde narrazione e danza, con tutto il repertorio di tecniche d’ombra proprie di Teatro Gioco Vita.
🔸 TBQ gio 12 ore 10 • TBM ven 13 ore 10 • TDL sab 14 ore 21 🔸
Mentre la guerra non smetteva di rimbombare anche il cibo venne a mancare. I genitori di Moun presero allora una difficile decisione: costruirono una piccola scatola di bambù e vi deposero la loro prima creatura e le loro ultime speranze. Ai genitori di Moun il loro paese, in preda alla follia della guerra, sembra ormai non offrire nessun futuro. Con un atto disperato, decidono di abbandonare al mare l’unica figlia nella speranza che, lontano dalla guerra, avrà una vita migliore, una possibilità di salvezza. Moun attraversa così il vasto oceano dentro una scatola di bambù e, dopo un avventuroso viaggio, arriva “al di là” del mare, dove su una spiaggia un’altra coppia la trova, la porta in salvo e l’adotta. Moun cresce in una famiglia che la ama, circondata da fratelli e sorelle sempre più numerosi. Arriva però il giorno in cui a Moun, ormai bambina, sono rivelate le sue origini; e da quel momento non può non fare i conti con la propria storia, con le proprie origini. Dopo tanto soffrire finalmente Moun capisce che “anche dall’altro lato dell’oceano l’amavano” e per regolare i conti con il suo passato decide di compiere un simbolico ritorno al paese natale. Affida al mare quello che di quel luogo possiede, la scatola di bambù, ma arricchita di tutto quello che lei ha amato nei suoi anni d’infanzia, un concentrato di ricordi di un “tempo dell’innocenza” dove lei ignorava le sue radici. La scatola di bambù, che i genitori di Moun stringevano “contro il cuore” all’inizio del suo lungo viaggio, farà così ritorno a casa, dopo che Moun l’avrà anche lei stretta per l’ultima volta “contro il suo cuore”.
Moun è una storia che nonostante tratti temi forti come l’abbandono, l’adozione, la nostalgia e la costruzione di sé, trasmette un senso di grande serenità. La sua forza consiste proprio nel contrasto tra la gravità dei temi trattati e la grande leggerezza in cui sono enunciati. Questa leggerezza poetica, indubbia qualità di questa storia, è resa sulla scena da immagini d’ombra dai toni pastello, acquerellati, e da ritmi calmi e distesi, che donano un’atmosfera di pace che informa tutta l’azione scenica e anche la recitazione. Il fatto poi che i personaggi abbiano tratti felini e che più che uomini sembrino gatti, favorisce quella “giusta distanza” dello spettatore dalla storia e nello stesso tempo crea un coinvolgimento emotivo senza il quale sarebbe impossibile condividere il percorso esperienziale di Moun. In scena è una sola attrice che ci racconta la storia di Moun e il pensiero che attraversa lo spettatore, è che sia lei stessa la protagonista. Questo non è mai esplicitato ma affiora dalla sua profonda partecipazione al racconto. L’attrice evoca la storia di Moun facendo uso di un linguaggio teatrale che fonde la narrazione e la danza con tutto il repertorio di tecniche d’ombra proprie di Teatro Gioco Vita.
Moun, una persona al centro del mondo di Fabrizio Montecchi
(note al testo)
Moun nasce da uno di quei piccoli libri dal titolo strano, che s’inizia a sfogliare distrattamente, senza nessun particolare motivo d’interesse ma che, fin dalle prime pagine, catturano inesorabilmente. Bastano solo poche frasi perché l’impreparato lettore si senta invaso da immagini potenti che, come un’eco, incominciano a risuonare dentro di lui. E quel piccolo libro, cui non si dava molta importanza, assume di colpo una dimensione altra, che lo rende preziosissimo. Tre anni fa, alla prima lettura di Moun, il libro illustrato di Rascal e Sophie, mi è successo esattamente questo: fin dalle prime pagine sono rimasto folgorato da quella storia semplice ma profondissima e ho subito capito che, prima o poi, l’avrei messa in scena. L’esodo in massa di migranti di questi ultimi mesi ha reso drammaticamente “politica” la storia che è raccontata in Moun, ma non è questo ciò che mi aveva colpito allora del libro, anche perché non amo particolarmente trattare, nei miei spettacoli, temi legati all’attualità. Ciò che mi aveva colpito era piuttosto quel guardare dentro una tragedia umanitaria per scorgervi una delle tante piccole tragedie umane, come a volerci dire che queste (le tragedie) non sconvolgono masse indistinte e senza volto ma i singoli individui e le “esistenze” che le compongono. Ma ciò che mi aveva ancora di più colpito era il contrasto tra quell’inizio dai toni quasi biblici e quel finale intimo e poetico, come a volerci dire che alle bruttezze e storture del mondo si può rispondere anche con la forza di un piccolo gesto d’amore e di come le piccole storie possono essere anche più forti della grande Storia. Ho scoperto molto dopo che la parola moun significa, nella lingua creola francese, “persona” e che questa deriva dal francese “monde”, mondo. Una persona nel/del mondo, mi è venuto da pensare, così com’è la nostra protagonista Moun. Una piccola persona, ma non per questo meno persona, che si trova a fare i conti con una sofferenza causata dal suo essere vittima incolpevole del devastante conflitto che sconvolge il mondo nel quale è nata. Per lenire il suo dolore Moun ha bisogno di sapere “perché”: non “perché la guerra?” ma “perché mi hanno abbandonato?” Non sono dunque politiche le risposte di cui Moun ha bisogno, ma esistenziali, ed è per questo che le cerca dentro di lei fino a capire e accettare che anche l’abbandono può essere un gesto d’amore e che per questo va ricambiato. Sono convinto che, anche se tanti sono i temi contenuti in questa storia (l’abbandono, l’adozione, la nostalgia e la costruzione di sé, etc.), più di tutto Moun ci parli di speranza: quella che spinge i genitori di Moun a metterla in una scatola e ad abbandonarla all’oceano e quella che fa accettare, alla nostra piccola protagonista, il loro doloroso gesto. Quella speranza senza la quale vivere è un’impresa quasi impossibile.
(note alla messinscena)
Nel momento stesso in cui ho deciso che avrei tratto uno spettacolo da Moun sapevo già che questa storia l’avrei fatta narrare da un unico interprete: un’attrice al centro della scena per raccontare di una persona al centro del mondo. Non potevo trovare miglior nucleo tematico per sviluppare il percorso iniziato con Piccolo Asmodeo, Donna di Porto Pim e Embla (con il Dockteatern Tittut di Stoccolma), alla ricerca di una figura di dalang moderno pienamente figlio della tradizione occidentale; un performer unico, interprete e animatore di tutti i ruoli, cuore e anima della scena. Molte sono le scelte di messinscena che accomunano Moun con le precedenti esperienze sopra ricordate: l’uso drammaturgico del doppio piano narrativo e dialogico; l’intreccio continuo di diversi statuti d’animazione (dell’attore, della sagoma, dell’ombra); l’utilizzo di dispositivi proiettivi e di tecniche di manipolazione “anomale”, la presenza costante del performer davanti allo schermo. In Moun vi è un a priori drammaturgico che impone una scelta di sobrietà e da qui i pochi ed essenziali dispositivi proiettivi e il loro altrettanto essenziale corredo di tecniche di manipolazione. Questa semplicità nella creazione dell’immagine d’ombra è compensata dalla presenza di momenti di danza che arricchiscono ulteriormente il bagaglio di linguaggi messi in campo dal performer. La storia raccontata ci giunge da lontano, attraverso immagini d’ombra colorate, fisse, e proiettate da dietro lo schermo (dove poi ritornerà alla fine) e arriva davanti, luogo del presente scenico, dove si svolge. Stati luministici intermedi, di controluce, mediano il passaggio tra un tempo/spazio e un altro, tra l’immagine di luce e quella d’ombra che, inizialmente immateriale, prende progressivamente corpo e si sostanzia e sdoppia nell’oggetto sagoma che, trattato ad acquerello, occupa delicatamente la scena. Il corpo del performer, portatore di una fisicità sia esuberante (con la personificazione dei personaggi e la danza) sia contenuta (con la narrazione e l’animazione) si fa a volte, esso stesso, silhouette, per essere assorbito dall’immagine e diventare totalmente parte di essa.
Teatro Gioco Vita
Teatro Gioco Vita nasce nel 1971, tra le prime realtà in Italia ad essere protagonista del movimento dell’animazione teatrale, grazie alla quale ha saputo dare un contributo originale alla nascita del teatro ragazzi, con il suo modo peculiare di fare, di intendere e di vivere il teatro, i rapporti, la ricerca e la cultura che lo ha caratterizzato fin dalle prime esperienze. Teatro Gioco Vita incontra il teatro d’ombre alla fine degli anni Settanta. Dal suo operare con coerenza e coscienza professionale, e anche grazie al contributo di collaboratori esterni, ha maturato un’esperienza unica nel suo genere che gli è valsa riconoscimenti e prestigiose collaborazioni in ogni parte del mondo, con teatri stabili ed enti lirici come Teatro La Fenice di Venezia, Royal Opera House Covent Garden di Londra, Teatro alla Scala di Milano, Arena di Verona, Ater, Ert, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Regio di Torino e Piccolo Teatro di Milano. Riconosciuto da Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Emilia Romagna come Centro di produzione teatrale, sotto la direzione artistica di Diego Maj si compone di diverse realtà. La Compagnia, con Fabrizio Montecchi in qualità di responsabile artistico, è impegnata oltre che nella produzione di spettacoli d’ombre anche in attività di laboratorio con le scuole e i giovani. L’Officina delle Ombre è luogo delle produzioni e della ricerca di Teatro Gioco Vita. I teatri a Piacenza (Teatro Filodrammatici, Teatro Municipale e Teatro Gioia) sono una grande casa dove si sperimentano e si organizzano rassegne teatrali, ospitalità, scambi culturali, luoghi dove realizzare percorsi artistici e culturali per la ricerca della Compagnia e il lavoro sul territorio. I progetti creativi che vanno oltre il linguaggio delle ombre si inseriscono nell’idea di aprire a nuovi orizzonti produttivi nella scena per i ragazzi e i giovani come pure nella ricerca e nella danza. Teatro Gioco Vita affianca l’attività sul territorio di Piacenza e provincia (direzione artistica e organizzativa della Stagione di Prosa del Teatro Municipale di Piacenza, organizzazione di rassegne teatrali e altri eventi culturali, ospitalità, laboratori, formazione) ad una dimensione sempre più internazionale che ha portato i suoi spettacoli di teatro d’ombre ad essere rappresentati, oltre che in Europa, negli Stati Uniti, in Brasile, Messico, Canada, Giappone, Cina, Israele, Taiwan e Turchia.
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IMMAGINA 2022
da giovedì 12 a domenica 15 maggio | teatro ragazzi – festival
Teatri in Comune presenta
IMMAGINA 2022
Festival Internazionale di Teatro di Figura di Roma
luoghi del festival Teatro del Lido di Ostia, Teatro Villa Pamphilj, Teatro Tor Bella Monaca, Teatro Biblioteca Quarticciolo
Un festival diffuso nei teatri della rete dei Teatri in Comune. Spettacoli, mostre, laboratori e incontri.
Una rassegna delle produzioni nazionali e internazionali più significative nell’ambito del teatro di figura.
🎟 biglietti intero 7 euro
ridotto 5 euro (presentando il biglietto di un altro evento del festival)
mostre a ingresso gratuito
laboratori gratuiti con prenotazione obbligatoria a promozione@teatrodellido.it